Pubblichiamo volentieri una lettera aperta che il nostro amico Marco Camerini, professore di Italiano in un liceo romano, ha scritto ai suoi alunni.
La vita è atroce, lo sappiamo
Ma proprio perché mi aspetto tanto poco dalla condizione umana, i periodi di felicità, i progressi parziali, gli sforzi di ripresa e di continuità mi sembrano altrettanti prodigi che compensano quasi la massa immensa dei mali, degli insuccessi, dell’incuria e dell’errore.
Sopravverranno rovine, catastrofi; trionferà il caos, ma di tanto in tanto verrà anche l’ordine.
La pace s’instaurerà di nuovo fra le guerre; le parole umanità, libertà, giustizia ritroveranno qua e là il senso che noi abbiamo tentato di infondervi. Non tutti i nostri libri periranno; si restaureranno le nostre statue infrante, altre cupole e altri frontoni sorgeranno dai nostri frontoni, dalle nostre cupole.
Se i Barbari s’impadroniranno mai dell’impero del mondo, saranno costretti ad adottare molti dei nostri metodi; finiranno per rassomigliarci.
A ciascuno la sua china, a ciascuno il suo fine. Il mio era racchiuso in una parola: il bello…mi sentivo responsabile della bellezza del mondo. Volevo che le città fossero splendide, piene di luce, irrigate di acque limpide, popolate da esseri umani il cui corpo non fosse deturpato né dal marchio della miseria o della schiavitù, né dal turgore di una ricchezza volgare; che gli alunni recitassero con voce ben intonata lezioni non fatue…che ogni cosa funzionasse senza inciampi, l’officina come il tempio; che il mare fosse solcato da belle navi e le strade percorse da vetture frequenti; che in un mondo ben ordinato, i filosofi avessero il loro posto e i danzatori il proprio…a ciascuno la sua china, a ciascuno il suo fine.
Non prendetelo, ragazzi, come un gradito, inaspettato regalo ma la dolorosa opportunità per ritagliarvi, nel frastuono di questo incerto presente, uno spazio di silenzio e riflettere consapevolmente – con la maturità e la schiettezza di cui siete capaci – su un evento che ha fatto irruzione nella vostra adolescenza e certamente ricorderete da adulti, quando i suoi contorni (per molti versi ancora confusi) saranno definiti, probabilmente storicizzati.
Non vivete l’interruzione delle lezioni come una provvidenziale vacanza, ma continuate a studiare: soprattutto oggi non significa sfogliare le pagine di un manuale, bensì informarsi, aggiornarsi, confrontarsi costruttivamente con la vostra interiorità e con gli altri, per ricercare tenacemente quel dialogo aperto e propositivo che solo mette in fuga – contro ogni sterile, autoreferenziale isolamento – timori e paure.
(Ri)scoprite il valore impagabile della lettura, non dell’ormai sin troppo citato Manzoni o, magari, di Tucidide e Camus, ma di qualunque libro troviate stimolante ed arricchente, anche se non è stato il vostro professore a consigliarvelo. Perché i romanzi destinati (forse) a rimanere hanno sempre anticipato, letto e decifrato momenti complessi dell’esistenza collettiva e le Parole della Poesia dato voce alla dimensione più nascosta e migliore di ognuno.
C’è poi un testo splendido, da sempre in testa alle classifiche dell’anima anche di quanti non hanno il dono prezioso della fede e si chiama Vangelo. Se solo per un attimo vi accadrà di pensare alla vostra aula chiusa, non vergognatevene: sarà il segnale che avete imparato ancor meglio a riconoscere nella scuola il “luogo fisico e ideale del sapere critico, spazio mentale dove ci dedichiamo a noi stessi per crescere e ragionare fuori da ogni necessità materiale” (Matteo Nucci).
L’Imperatore Adriano della Yourcenar sognava città “splendide, piene di luce, percorse da vetture frequenti”, non vagamente malinconiche e semivuote come, inevitabilmente, appaiono ora. Le sue estreme parole possano aiutarvi ad affrontare, solidali e fiduciosi come solo i giovani sanno esserlo, “gli alterni perigli di una guerra comune”, con la “dignità quotidiana” (Montale) dell’umile e pure eroica ginestra leopardiana. Per vivere “ad occhi aperti”.
La vita è atroce, lo sappiamo
Ma proprio perché mi aspetto tanto poco dalla condizione umana, i periodi di felicità, i progressi parziali, gli sforzi di ripresa e di continuità mi sembrano altrettanti prodigi che compensano quasi la massa immensa dei mali, degli insuccessi, dell’incuria e dell’errore.
Sopravverranno rovine, catastrofi; trionferà il caos, ma di tanto in tanto verrà anche l’ordine.
La pace s’instaurerà di nuovo fra le guerre; le parole umanità, libertà, giustizia ritroveranno qua e là il senso che noi abbiamo tentato di infondervi. Non tutti i nostri libri periranno; si restaureranno le nostre statue infrante, altre cupole e altri frontoni sorgeranno dai nostri frontoni, dalle nostre cupole.
Se i Barbari s’impadroniranno mai dell’impero del mondo, saranno costretti ad adottare molti dei nostri metodi; finiranno per rassomigliarci.
A ciascuno la sua china, a ciascuno il suo fine. Il mio era racchiuso in una parola: il bello…mi sentivo responsabile della bellezza del mondo. Volevo che le città fossero splendide, piene di luce, irrigate di acque limpide, popolate da esseri umani il cui corpo non fosse deturpato né dal marchio della miseria o della schiavitù, né dal turgore di una ricchezza volgare; che gli alunni recitassero con voce ben intonata lezioni non fatue…che ogni cosa funzionasse senza inciampi, l’officina come il tempio; che il mare fosse solcato da belle navi e le strade percorse da vetture frequenti; che in un mondo ben ordinato, i filosofi avessero il loro posto e i danzatori il proprio…a ciascuno la sua china, a ciascuno il suo fine.
Un Prof
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