Gli amici del fratello del figliol prodigo

La parabola di oggi è rivolta a tutti gli amici del fratello maggiore del figliol prodigo, cioè a quelli che, condividendone gli atteggiamenti, hanno l’intima presunzione di essere giusti e considerano tutti gli altri dall’alto in basso. La caratteristica delle persone prese di mira è la loro sicurezza di sé, la fiducia in sé stessi in campo religioso. Costoro hanno quel genere di fede in sé stessi e nelle proprie capacità che i più deboli si accontentano di avere in Dio. Si tratta dei farisei, ma non di tutti i farisei. Hillel, un grande rabbino, cronologicamente molto vicino a Gesù (circa 20 a.C.), cosciente di questo pericolo, soleva dire: «Non stare in disparte dall’assemblea e fino al giorno della tua morte non confidare in te stesso, e non giudicare il tuo compagno finché non avrai preso il suo posto».
Tutti e due gli uomini pregano. Il contenuto della preghiera del fariseo è un catalogo delle sue virtù. La prima parte menziona ciò da cui si astiene: non era ladro, ingiusto, adultero; la seconda richiama l’attenzione di Dio su certe pratiche della sua speciale pietà. E qui nomina due casi nei quali egli andava oltre: una giornata regolare di digiuno due volte la settimana non è prescritta dalla legge, così come il pagare la decima di tutto ciò che veniva acquistato.
Non abbiamo motivi per pensare che il fariseo mentisse. Egli era un uomo rispettabile, che temeva Dio e ciò che dice di sé stesso va considerato vero. Il lato antipatico della preghiera è il paragone che fa tra sé stesso e coloro che non appartengono alla sua setta. E ne è soddisfatto, tronfio.
Il pubblicano, invece, è oppresso dal sentimento della propria indegnità e vi era di che. Si farebbe un grande errore, se considerassimo il pubblicano come una persona dabbene, conscia dei propri limiti e senza la pretesa di farsi migliore di quello che è in realtà. La nostra valutazione nei suoi confronti non deve essere ispirata da sentimentalismi devianti. Questo pubblicano era un farabutto e lo sapeva. Egli invocava la misericordia di Dio perché la misericordia era la sola cosa che poteva osare di chiedere.
Perché allora – secondo Gesù – il pubblicano se ne torna giustificato a differenza del fariseo? La risposta è che il fatto determinante non è il ricordo del passato sia esso buono o cattivo, ma l’atteggiamento presente riguardo a Dio. Ogni momento dinanzi a Dio dà l’opportunità di lasciar condizionare la vita dal futuro invece che dal passato. Il fariseo non chiede altro di meglio che di proseguire nella via intrapresa. La sola cosa a suo sfavore è che è soddisfatto della vita e di sé stesso. Dio non può far nulla per lui perché a lui non manca nulla. Il pubblicano ha un solo punto a suo favore: egli non è soddisfatto. Dove c’è questa insoddisfazione, vera grazia di Dio, c’è speranza.


P. Nino, parroco


Dal Vangelo secondo Luca
Lc 18,9-14

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l'intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: "O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo".
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: "O Dio, abbi pietà di me peccatore".
Io vi dico: questi, a differenza dell'altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

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