Confesso di aver creduto a lungo che “epulone” fosse il nome proprio del ricco di cui è questione nella parabola del vangelo di oggi. Ho scoperto solo col tempo che il termine è un aggettivo che qualifica quell’uomo. Il dizionario della Treccani ne dà questa definizione: “Mangione, ghiottone, persona che si compiace di cibi abbondanti e raffinati”.
Nel 196 a.C. fu istituito a Roma un nuovo collegio sacerdotale, quello degli epulones (all’inizio erano tre sacerdoti, poi aumentarono e diminuirono fino ad attestarsi a sette, i septemviri epulones). Costoro si occupavano di organizzare banchetti pubblici e solenni durante le festività religiose: questi banchetti erano parte del sacrificio votato al dio.
La diffusione del termine, però, è dovuta proprio alla nostra parabola. Il riccone non è un epulone propriamente detto, non è un sacerdote romano. Solo che, secondo la traduzione latina della parabola, egli epulabatur, cioè banchettava.
Non importa tanto, comunque, nel nostro testo che il ricco fosse molto ricco e l’altro (lui sì che un nome ce l’ha: Lazzaro) molto povero, ma che il ricco avesse l’opportunità di aiutare il povero e non lo fece.
In questo tempo di pandemia il Lazzaro piagato della parabola, a cui i cani leccano le ferite, mi porta alle sofferenze terribili delle persone che, contagiate dal virus, sono ora in rianimazione.
Nei loro confronti e nei confronti di ogni nostro prossimo, ci vengono richieste piccole grandi attenzioni da responsabili, che l'epulone in ognuno di noi potrebbe continuare a non capire: rinunciare al bar, al cinema, alla discoteca, al calcetto… A proposito, ieri sera ho guardato una partita (Liverpool – Atletico Madrid) che in altri tempi avrei definito bellissima. Che contrasto!!! Mi è sembrata di paglia.
Suggerisco, infine, un’altra attenzione che sicuramente faremo bene ad avere. Resteremo a lungo chiusi in casa, in spazi piccoli, sempre le stesse facce. Anche se stiamo con le persone che amiamo di più, l’insofferenza, se banchettiamo con il nostro egocentrismo e i nostri egoismi, è in agguato. Facilitiamo la vita dei nostri conviventi, rendendoci amabili!
P. Nino, parroco
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 16,19-31
In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma. Ma Abramo rispose: Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi. E quello replicò: Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. E lui replicò: No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno. Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti».
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